Intervista al giocatore
Il suo modo di sorridere, così educatamente imbarazzato, è il riflesso della sua persona genuina, di un uomo estremamente sensibile ed elegante. Sempre composto nei modi ed espressioni è diventato l’uomo immagine della realtà tennistica argentana, grazie alla sua versatilità e infinita professionalità, rendendola, grazie alle sue intuizioni brillanti, un’oasi fresca e in costante evoluzione. Oggi facciamo un viaggio a 360 gradi nella vita dell’uomo che sta dipingendo il presente del nostro centro tennis…salutiamo Giorgio Manzoni.
Quando si arriva a un momento così significativo nella vita di un uomo, come la vicinanza ai 30 anni (ad agosto spegnerà 29 candeline), si entra a tutti gli effetti in quello che vuol dire essere una persona adulta. Dopo la chiusura di tantissime porte e la futura apertura di nuove, con quale Giorgio Manzoni sto parlando? Un uomo che ha in mente ancora grandi evoluzioni durante il percorso o la struttura che avrai a livello definitivo sarà più o meno quella attuale?
“Personalmente ritengo che non si smette mai di crescere e se sono il Giorgio Manzoni di adesso è soprattutto grazie a questo sport, maestro di vita e artefice di emozioni fortissime. Credo che non sarò sempre lo stesso e molto probabilmente tra 10 o 20 anni sarò una persona ancora diversa perché esiste sempre un evoluzione ed essa è determinata dagli obiettivi che una persona si pone. Il fatto di aver avuto la possibilità di viaggiare mi ha dato tantissimo perché ho conosciuto persone dalle quali e grazie alle quali ho imparato tanto, sia positivamente che non, ma tutte le esperienze che uno fa lasciano sempre un insegnamento e questo è un invito che rivolgo a tutti i ragazzi perché ti insegna a vivere e a migliorarti come insieme”.
Tu insisti molto sul concetto di miglioramento. Concetto che in molti casi, in particolare in questo sport, viene associato al termine “vittoria”. Tuttavia esiste una personale definizione di vittoria e di successo. Cosa vuol dire per te vincere, nello sport e nella vita di tutti i giorni?
“Penso sempre a una definizione di un allenatore di basket NBA. Il successo è dato dal massimo sforzo che tu impieghi per il raggiungimento di un obiettivo e quando ritieni di aver dato tutto quello che avevi da dare…allora in quel caso sei un vincitore. Molto spesso il successo viene considerato come sinonimo di vittoria, ma non è sempre così, perché il risultato può avere tempi di maturazione differenti da persona a persona. La cosa fondamentale è lavorare al massimo delle proprie possibilità e solo a quel punto si noteranno i risultati del lavoro che, se eseguito positivamente, porteranno a quella famosa vittoria di cui stiamo parlando.
Applicando il dualismo miglioramento/vittoria nel percorso di crescita di un atleta che vuole arrivare a competere ad alto livello, qual è il modo migliore per trattare il suo potenziale? In altre parole, una caratteristica che non può mancare a un maestro di tennis per potersi definire tale.
“ La prima cosa che ricerco sempre è l’empatia, ovvero cercare un legame con il giocatore per cercare di capire le sue sensazioni dopo una partita e conseguentemente un risultato. Ricevere dei feedback, i suoi pareri e obiettivi in un rapporto paritario tra allenatore e giocatore e assolutamente non autoritario dove il maestro prevarica l’atleta. Diverso è il discorso del coach che si occupa di tutti gli aspetti della vita di un giocatore, dall’alimentazione alla preparazione atletica fino ad arrivare alla programmazione dei tornei. In tutti questi anni ho ricoperto un ruolo di maestro perché in una realtà come quella di Argenta non era possibile un’attività di caratura internazionale, nonostante disponessimo di ottimi giocatori, e ho sempre incoraggiato e ritenuto l’importanza dell’acquisizione tecnica. Empatia, confronto, rispetto, puntualità e conoscenza. In particolar modo quest’ultima è fondamentale per essere sempre aggiornato e quindi rimanere ad un alto livello perché solo attraverso l’informazione si può essere al top”.
Idealizzando…Giorgio Manzoni nelle vesti di presidente federale. Un uomo proveniente da una realtà poco blasonata a decidere le sorti e il futuro del mondo giallo. A luce anche delle esperienze e del bagaglio acquisito, quale sarebbe il tuo primo provvedimento nelle vesti di presidente?
“ Domanda molto difficile perché non ho mai preso in considerazione l’idea di un impiego nel mondo politico. Il primo provvedimento che prenderei consisterebbe in un aiuto concreto ai circoli tennis che molto spesso versano in condizioni non facili dal punto di vista economico e faticano a proseguire la loro attività”.
Quali sono le motivazioni per le quali l’Italia tennistica fatica a sfornare giovani di grande talento che possano rappresentare un ricambio a chi ha costituito le fortune azzurre degli ultimi anni. Penso a Errani, Vinci, Pennetta e Schiavone nel femminile e Fognini, Seppi nel maschile. Manca effettivamente un qualcuno a cui affidare le chiavi del tennis tricolore quando questi fenomeni appenderanno la racchetta al chiodo.
“ La stessa domanda se la sono posta per anni gli americani, dopo il dualismo Sampras Agassi. Sono emersi giocatori importanti come Roddick, Fish, Isner e adesso Sock , ma lontani da quei fasti. Il tennis a stelle e strisce sta rinascendo piano piano dopo un periodo di flessione e la stessa Spagna non si trova in una situazione estremamente tranquilla perché non si vedono giovani iberici ai vertici, ora ricoperti dall’eterno Nadal e altri ottimi giocatori come sono Carreno Busta e Bautista Agut. Si tratta di cicli, periodi. Per questo bisogna puntare molto sui circoli e le accademie per strutturare una buona base da cui ripartire, gestita da persone competenti e dal curriculum internazionale. In Italia esistono tantissimi coach che lavorano all’estero o che non vengono sfruttati a dovere…penso a Castellani e a Sartori. Purtroppo molti sono stati costretti ad andarsene perché chiusi nel nostro paese e quindi il materiale c’è ed esiste…cerchiamo di utilizzarlo a dovere”.
Arriviamo al Giorgio Manzoni giocatore. Sì perché non si può non sottolineare l’indiscutibile capacità che hai di creare tennis in prima persona e per questo circolo sei sempre stato e hai rappresentato una certezza solida su cui si sono basati grandi successi individuali e di squadra. L’unica tua pecca è stata una continuità di stimoli e voglia che si è alternata negli anni e magari non ti ha permesso di arrivare dove potevi benissimo stare. Tuttavia, l’anno che si è appena concluso ha certificato le immense qualità che hai come giocatore e hai trovato un’ottima continuità di rendimento, la quale ti ha portato nell’oceano della seconda categoria. Che salto! Come ti senti? Hai ancora tanto da dare come giocatore o senti di aver sparato le pallottole migliori?
“ Facendo un tuffo nel passato, posso dire di aver praticamente imparato da solo a giocare perché fin quando ho avuto 12 anni replicavo semplicemente i gesti visti in tv. Poi quando sono approdato a Castenaso, lavorando con il maestro Tellarini ho capito cosa volesse dire giocare a tennis e ho passato quattro anni cruciali nella mia carriera da giocatore. C’erano momenti in cui piangevo terminato l’allenamento per la tensione che accumulavo e per la fatica che facevo dal punto di vista mentale nell’apprendimento di una tecnica appresa così faticosamente. Quello che più mi è mancato è stato l’agonismo, quella ferocia di impormi come giocatore che mi ha portato a giocare pochissimi tornei. La mancanza che ho come coach e che sto cercando di sopperire adesso è proprio questa mancanza di esperienza sul campo. A 18 anni mi sono trasferito al Cus Ferrara perché a Castenaso non c’era più la possibilità di crescere e devo ammettere che mi sono un po’ perso a causa dell’inizio della carriera universitaria e mi ha fatto perdere di vista il tennis. Ero talmente prosciugato mentalmente dallo studio che non ero più in grado di giocare. La dedizione che ho impiegato nello studio, tuttavia, mi ha reso estremamente felice perché mi ha reso molto serio anche nei confronti dell’approccio al lavoro sul campo da tennis. Adesso ho ripreso con grande convinzione anche perché se intendo intraprendere la strada del coach devo essere adeguato e preparato ad ospitare giocatori e all’occorrenza allenarmi con loro riuscendo a stare al loro livello. Ho obiettivi come giocatore e vorrei raggiungere la classifica di 2.7. Di più è molto complesso vista l’attività lavorativa che mi impegna molto, ma in futuro non escludo di poter raggiungere livelli ancora più alti, dedicandomi con dedizione a questo aspetto”.
Apriamo il capitolo squadra. Ad Argenta quando si parla della prima squadra, il grado di suggestione e fervore che è in grado di portare è veramente alto perché esiste una autentica cultura legata al giocare come collettivo. La storia recente è stata dolorosa e l’anno che ci apprestiamo a vivere porta con sé cambiamenti importanti a livello di organico, ma a maggio saremo ancora tutti uniti per centrare questa chimerica promozione in C. Ce la faremo?
“ Il concetto di squadra ha sempre legato questo circolo perché rappresentava una realtà nuova e giovane che stava a dimostrare che Argenta era tornata e poteva disporre di grandi giocatori. Ci siamo fermati gli ultimi due anni all’ultimo scoglio…il passaggio in C non è semplice perché il livello in D1 è estremamente alto. Noi, dal canto nostro, abbiamo sempre mantenuto una caratteristica molto preziosa che era quella di un gruppo giovane e amico, dotato di un forte senso di appartenenza. Bisogna fare un plauso al nostro capitano Nicolò Tirapani che è stato un elemento importantissimo per il nostro gruppo e ha portato un sacco di promozioni. Concludo dicendo che forse la squadra non è ancora al completo….”
Esiste un limite per la giovinezza? Fino a quando un giocatore si può sentire giovane per essere competitivo?
“ Il fatto di sentirsi giovane è legato a una condizione mentale, dettato dal tuo modo di vivere e lo provo su di me. Lavorando con i ragazzi riesci a mantenerti giovane come mentalità, mentre altre persone che non dispongono di questa possibilità e fanno altri mestieri non hanno questa fortuna. Io mi sento estremamente giovane. A livello professionistico, l’età media si è allungata di un cinque/sei anni e te lo dimostra il fatto che vedi giocatori di 35 anni ancora competitivi ad altissimi livelli, mentre anni fa questo era un concetto impensabile. Tuttavia, al giorno d’oggi, risulta sempre più complesso vedere un Becker vincere un torneo ATP a 16/17 anni perché sono migliorate le metodologie di preparazione fisica che hanno lo scopo di preservare il fisico ed è per questo che i next gen faticano ad affermarsi contro i Federer, Nadal, Murray e Djokovic, ovvero a causa di un grado di preparazione fisica ottimale abbinato ad abilità tecnico – tattiche che li porta a stare ancora un passo avanti.”
Concedi una passerella ai tuoi compagni. Citali uno ad uno per caratteristiche tennistiche e cosa hanno rappresentato per te.
“ Parto dal capitano Nicolò Tirapani, grazie al quale sono tornato a giocare a tennis. Ho tantissimi ricordi con lui e per me rappresenta la figura di un capitano – amico vicino alla squadra, vicino ai suoi compagni sempre. Abbiamo iniziato io, lui e Venturini perciò se siamo dove siamo ora è anche per i suoi meriti dentro al rettangolo da gioco. Passando al nostro nuovo acquisto che è Matteo Bortolotti, mi sento soltanto di esprimere un giudizio dal punto di vista tennistico perché dobbiamo ancora vederlo all’interno della nostra realtà. Il suo arrivo ci arricchisce anche perché forse è il primo anno che abbiamo un vero giocatore da veloce. Un bravo ragazzo, estremamente disponibile e che da il 100% nelle cose in cui crede. Rolando Binelli…io lo vorrei descrivere attraverso la partita di play-off vinta al doppio decisivo contro MassaLombarda quando entrammo in campo io e lui. Sicurezza è la parola che emerge spontanea perché quando sono entrato in campo con lui ero accompagnato dalla certezza della sua solidità e che l’avrebbe mantenuta fino alla fine e questo mi portava a rischiare soluzioni più complesse perché sapevo che avevo lui al mio fianco e che non avrebbe tradito. In squadra ha sempre fatto benissimo ed è stato il nostro uomo – squadra. Elia Brunelli…il ragazzo più giovane della nostra squadra. Questo aspetto lo espone spesso come bersaglio di ilarità in molti casi e forse rappresenta il collante per la nostra realtà. Tennisticamente è un leone, sempre carico e motivato, caratteristica che riesce a infondere alla squadra”.
Inseriamo la moneta nel jukebox e facciamo un salto nel passato. Giorgio Manzoni ha mai avuto rimpianti? Cosa cambieresti nel tuo passato e come pensi avrebbe potuto influenzare sulla tua persona oggi?
“ Non ho rimpianti per chi sono oggi sia dal punto di vista tennistico sia da quello umano. Ho fatto il mio percorso, giocando in posti diversi e studiando molto. A Castenaso ho trascorso anni bellissimi, dove sono cresciuto tantissimo e ricordo ancora quando insieme ai miei compagni portammo a casa il primo trofeo giovanile nella storia del circolo che era il Micheli. Il ricordo è vivo dentro di me. Poi ho studiato e in molti mi possono dire che il tempo trascorso a studiare sia stato inutile perché ora sono in un mondo totalmente lontano da quello per il quale sono stato sui libri, però sono fiero della scelta che ho fatto e non me ne pento. Mi sarebbe piaciuto provare ad essere un giocatore a tutti gli effetti e forse avrei avuto risultati diversi, ma al mio tempo presi questa decisione e rimango convinto tutt’oggi che studiare sia un aspetto fondamentale che non deve mancare alla formazione di un giovane”.
Ultima domanda. Per chi spendi il grazie più grande? A chi senti di doverlo per essere l’uomo che sei?
“ Ne ho due di grazie da spendere. Il primo va al mio maestro Gabriele Tellarini, un secondo padre. Il secondo lo rivolgo alla mia famiglia perché se sono quello di oggi è soprattutto grazie a loro”.